Callinectes sapidus

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Granchio blu
Femmina di Callinectes sapidus presso il Museo dei bambini di Indianapolis
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa Bilateria
PhylumArthropoda
SubphylumCrustacea
ClasseMalacostraca
SottoclasseEumalacostraca
OrdineDecapoda
SottordinePleocyemata
InfraordineBrachyura
SezioneEubrachyura
SottosezioneHeterotremata
SuperfamigliaPortunoidea
FamigliaPortunidae
SottofamigliaPortuninae
GenereCallinectes
SpecieC. sapidus
Nomenclatura binomiale
Callinectes sapidus
Rathbun, 1896

Il granchio reale blu[1] o granchio blu[1] (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) è un crostaceo decapode brachiuro della famiglia Portunidae.[2] Il nome commerciale obbligatorio in base al Decreto Ministeriale 2563 del 31 gennaio 2008 di tutti i membri del genere Callinectes è granchio nuotatore[3] È una specie autoctona delle coste atlantiche del continente americano dove rappresenta un importantissimo prodotto della pesca. È stato ampiamente introdotto e acclimatato al di fuori del suo areale naturale, spesso con gravi effetti dannosi sulle comunità biologiche.

Distribuzione e habitat

Areale nativo

La specie è originaria della parte occidentale dell'oceano Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla Nuova Scozia all'Uruguay[4] comprese le Bermuda, l'intero golfo del Messico, il mar dei Caraibi e le piccole e grandi Antille[5]. Nelle acque nordamericane è storicamente riportata la presenza di popolazioni stabili a nord fino a Capo Cod in Massachusetts mentre le segnalazioni in stazioni più settentrionali erano perlopiù riferite a individui o gruppi di individui erratici[6] presenti solo durante la stagione calda[7] e non a popolazioni in grado di autosostenersi data l'assenza di femmine ovigere[6]. Nel 2015 è stata però accertata la presenza di una popolazione stabile nel golfo del Maine, circa 500 km più a nord[6]. La distribuzione nella parte sud dell'areale è meno nota: alcune fonti riportano l'Uruguay come limite meridionale[4] mentre altre riferiscono la sua presenza nel nord dell'Argentina senza però dare informazioni sulla consistenza e la stabilità delle popolazioni[5].

Specie introdotta

La specie è stata introdotta in numerose aree esterne al suo areale come il mare del Nord[4][8], il mar Baltico[4][9], il Mar Nero[4][10], il mar Mediterraneo[4][8] e il Giappone[4][5]. La via di introduzione più probabile è quella accidentale dovuta a stadi larvali pelagici rilasciati assieme alle acque di zavorra delle navi. Altre vie di arrivo di questa specie prese in considerazione sono rilasci più o meno intenzionali, trasporto passivo sugli scafi o in ammassi di alghe o espansioni naturali dell'areale. Tuttavia l'abbondante presenza di questa specie nei pressi di grandi porti negli Stati Uniti e l'ubicazione delle prime colonie in Europa all'interno di aree portuali con traffico transatlantico rende l'ipotesi del trasporto nelle acque di zavorra quella più probabile e universalmente accettata[7].

Le prime segnalazioni per l'Europa risalgono al 1900 sulla costa atlantica settentrionale francese da cui si è diffusa alle acque dei Paesi Bassi, Germania e Danimarca[11] rimanendo però sporadico con segnalazioni occasionali almeno fino al 1965. Nel mare del Nord, un aumento delle popolazioni si è riscontrato a partire dal 1975, mostrando comunque abbondanze molto inferiori a quelle riscontrate nel Mediterraneo[8]. La presenza nel mar Mediterraneo è stata accertata la prima volta in Egitto nel 1940, quindi nel 1937 nel mar Egeo[12] e un anno dopo nell'Adriatico settentrionale; le prime popolazioni naturalizzate nel mar di Levante e nell'Egeo vengono segnalate solo a partire dal 1959; a partire da questi primi nuclei di colonizzazione si assiste a una rapida diffusione della specie nella parte orientale del Mediterraneo mentre, almeno fino al 2006 le segnalazioni per il Mediterraneo occidentale sono sporadiche, occasionali e senza segni di naturalizzazione[8]. Nel 2008 la situazione fotografata dall'atlante delle specie aliene del mar Mediterraneo della CIESM[4] riporta la specie come frequente nel Mediterraneo orientale dall'Egitto alla parte meridionale del mar di Marmara, compresa l'isola di Cipro, e nel golfo di Salonicco, mentre risultava poco comune nell'estremo nord del mare Adriatico. Segnalazioni occasionali erano riportate per il mar Ligure, il golfo del Leone, Malta, il mar Ionio e per entrambe le coste dell'Adriatico centrale[4]. È negli anni 2000 che l'esplosione demografica della specie si osserva nelle regioni dov'è invasiva[12]. Nel 2016-2023, la diffusione nel Mediterraneo occidentale ha un forte incremento diffondendosi su tutte le coste del bacino e anche aree esterne allo stretto di Gibilterra come le coste atlantiche della Spagna[8] e del Marocco[8][13] e colonizzando perfino le isole Canarie[8].

Al 2023 il granchio blu risulta presente e naturalizzato in tutto il Mediterraneo[8].

In Italia

In Italia le prime segnalazioni ufficiali riguardano Marina di Grado e la Laguna di Venezia e datano, rispettivamente, 1949 e 1951; poi, in ordine di tempo, ci sono le segnalazioni per il porto di Genova (1965) e per la Sicilia (1970)[14]; la specie però non pare costituire popolazioni riproduttive almeno fino ai primi anni novanta del XX secolo, tanto che dopo le prime segnalazioni non si sono più avuti riscontri fino al 1991 nella Laguna di Venezia[14][15]. A partire dal nuovo millennio la colonizzazione delle acque italiane procede in maniera rapida: nel 2006 appare nel Golfo di Trieste[16] in seguito compare nel resto del mar Adriatico[17][18][19] compreso il delta del Po[20], nel mar Ionio[21], nel mar Ligure[22], in Sardegna[23][24], in Sicilia[25][26] e per ultimo viene colonizzato il mar Tirreno[27].

Nel 2021 risulta presente in tutti gli ambienti idonei dei mari italiani[27] spingendosi anche all'interno dei fiumi[28][29] fino a oltre 9 km[29].

In Francia

Benché la presenza del granchio blu sia stata registrata sin dai primi del Novecento sulle coste atlantiche francesi, la sua introduzione nel Mediterraneo è più recente[11]. Le prime notizie di quest'introduzione risalgono al 1962, quando, nella laguna di Berre alcuni esemplari erano stati pescati[30]. A partire dal 2016, la sua presenza si è diffusa in molte lagune della costa mediterranea francese e della Corsica[30][31]. In Corsica in particolare, le prime notizie della specie risalgono al 2033, ma è a partire dal 2019 che si è rapidamente diffusa lungo le coste dell'isola. Nel 2020 è stata confermata la riproduzione del granchio blu nelle acque corse[32].

Habitat

L'habitat preferito nell'areale naturale di C. sapidus è costituito dalle foci fluviali e le baie a profondità da 0 a 90 metri (ma normalmente in acqua bassa non più profonda di 35 metri) con fondali di sabbia o fango[7]. Il granchio blu è fortemente eurialino ed è reperibile da salinità marine[7] o addirittura superiori[4] all'acqua dolce; è in grado di risalire i fiumi anche per 195 km[7]. Tollera anche un ampia gamma di temperature[4]. La tolleranza all'acqua dolce varia nella vita di un individuo: i primi stadi larvali non sono in grado di tollerare acque molto dissalate[5] e per questo motivo le femmine adulte, dopo aver raggiunto la maturità sessuale ed essersi accoppiate nelle acque poco salate degli estuari, migrano verso il mare o zone a salinità relativamente alta per la deposizione delle uova[7]. I giovani granchi sono invece tolleranti alla bassa salinità e si spostano verso acque salmastre[5]. In generale, tranne che nelle fasi giovanili e nel breve periodo di accoppiamento, i maschi stazionano in acqua salmastra e le femmine in zone a salinità marina o appena più bassa[5].

Descrizione

La specie misura fino a 15 cm di lunghezza e 23 cm di larghezza[33]: presenta corpo più largo che lungo, di forma ellittica, con due spuntoni ai due lati del corpo e margine anteriore seghettato. Le zampe sono piuttosto allungate, col primo paio tramutato in chele, più grandi nei maschi rispetto alle femmine: il colore del corpo è verde oliva superiormente, mentre il ventre è bianco-azzurrino e le zampe presentano l'attaccatura e la parte terminale di un colore blu intenso.
Durante il periodo della muta, sull'ultimo paio di zampe, appiattite ed adattate al nuoto, appaiono delle macchioline rosa, che acquistano progressivamente colore divenendo sempre più rosse con l'avvicinarsi della muta.

La femmina può deporre oltre 2 milioni di uova[34]. Durante gli stadi larvali, sono lunghi 60-90 mm. Maturano attraverso una serie di mute successive in acque poco profonde e a bassa salinità. Con il freddo invernale, la crescita rallenta fino a bloccarsi, ma riprende con l'estate. Le larve si nutrono prevalentemente di zooplancton, per poi passare a una dieta a base di spartina o altre erbe[35].

I predatori naturali del granchio reale blu includono anguille, Scienidi, Morone saxatilis, trote, alcuni squali, Rhinoptera bonasus e Dasiatidi.

Biologia

Si tratta di animali onnivori e piuttosto aggressivi. Si nutrono di tutto ciò che riescono a catturare: bivalvi, anellidi, avannotti, carogne e piante[36][35][37].

Uso commerciale

Questi crostacei, nelle loro zone d'origine, vengono pescati in quantità per uso alimentare: in particolare, vengono considerati una prelibatezza quelli pescati nella baia di Chesapeake[38][39], dove essi costituiscono un'importante risorsa (valutata in oltre 100 milioni di dollari USA negli anni '90; la domanda si è successivamente dimezzata).
Per far fronte alla continua richiesta, gli Stati di Maryland e Virginia, che si affacciano sulla baia, hanno emanato speciali provvedimenti, volti a salvaguardare le popolazioni rimanenti, fra i quali il divieto di pescare esemplari di diametro inferiore ai 14 cm e restrizioni varie circa i periodi in cui effettuare la pesca. A causa di tali provvedimenti, per far fronte alla forte domanda i due Stati americani hanno dovuto ricorrere all'importazione da altri Stati (Carolina del Nord, Louisiana, Florida e Texas)[40] o addirittura dal Sud-est Asiatico.

Pesca commerciale

Esemplari in vendita al porto del Pireo.

La pesca al granchio reale si effettua tramite particolari nasse, simili a quelle utilizzate per pescare le aragoste e denominate crab pot[41]: tali nasse consistono in reticolati di filo metallico, posti attorno ad uno scheletro di legno o di metallo, a formare una gabbia di forma cubica con due entrate. Tali fori sono studiati in modo che l'animale, entrando attratto dall'esca (costituita da pezzetti di pesce o pollo fissati in una tasca di metallo per impedire agli animali di mangiarli), sia poi impossibilitato ad uscire dal foro. Le varie nasse vengono disposte in lunghi filari e controllate giornalmente, rimuovendo gli esemplari pescati ed eventualmente sostituendo le esche consumate.

Le varie fasi della muta.

I granchi vengono divisi in jimmies (maschi adulti), sallies (femmine immature) e sooks (femmine adulte)[33]: gli esemplari in fase di muta vengono separati dagli altri e piazzati in vasche di cemento di 90×150 cm a seconda della fase della muta in cui si trovano, per evitare atti di cannibalismo. Dopo la muta, si attendono circa due giorni per lasciar solidificare la nuova corazza dei granchi, dopodiché essi vengono congelati e venduti.

Pesca sportiva

I pescatori amatoriali, per pescare occasionalmente qualche granchio, utilizzano sia i palangari, che le nasse: queste ultime, di dimensioni minori rispetto a quelle utilizzate commercialmente e dalle forme anche assai varie (oltre che cubiche, se ne trovano anche di forma piramidale o cilindrica). In queste trappole l'animale ha maggiori probabilità di fuga e perciò esse devono essere ispezionate più frequentemente, all'incirca ogni mezz'ora.
Un altro metodo assai semplice per pescare questi animali è quello di utilizzare una lampara, per vederli nelle acque fluviali durante la notte, e pescarli con un retino dalle maglie robuste, per evitare che questi animali danneggino la rete con le forti chele.

Cucina

Negli Stati Uniti[42] orientali questi animali vengono bolliti in acqua, aceto e varie misture di erbe aromatiche: per poterli cuocere a piacimento, essi vengono gettati in scolapasta ed estratti una volta raggiunto il colore rosso, tipico dei crostacei bolliti.
Per estrarre la polpa del granchio, è necessario "scoperchiarlo" e in seguito romperne le varie articolazioni, ricavando un quantitativo di carne modesto rispetto alle dimensioni totali dell'animale. Le branchie, solitamente rimosse, chiamate tomalley o mostarda (a causa del colore), vengono considerate da alcuni una prelibatezza[43].

La carne del granchio blu, ricca di vitamina B12[44], viene utilizzata, oltre che come cibo istantaneo, anche come prezioso ingrediente del crab cake[45] e di altre ricette locali. La carne inoltre può essere trattata per la conservazione in appositi stabilimenti ed essere venduta inscatolata.

I granchi catturati appena dopo la muta, e perciò muniti di guscio ancora molle, vengono privati delle interiora e delle branchie e fritti dopo essere stati immersi in una pastella di uova, farina ed erbe aromatiche.

Danni per l'ecosistema e l'economia

Il granchio reale blu è una specie aliena e invasiva nel Mediterraneo[46] dove si è adattato al clima, seppur inizialmente con qualche difficoltà, causando danni ormai accertati all’itticoltura e alla coltivazione dei molluschi, anche per via della sua ecologia riproduttiva[15]. Può inoltre rovinare alcuni tipi di reti da pesca con le proprie chele ed introdursi negli allevamenti di pesci e altri animali acquatici danneggiandoli[47][48][49][50][51].

Note

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  2. ^ (EN) Callinectes sapidus, in WoRMS (World Register of Marine Species).
  3. ^ Denominazione obbligatoria in Italia ai sensi del DM 31 gennaio 2008
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  49. ^ Mariangela Pala, Allarme granchio blu, Flag Nord Sardegna: «Per eliminarlo bisogna mangiarlo», su L'Unione Sarda.it, 10 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  50. ^ Granchio blu, cos'è e perché è pericoloso per l'ecosistema, su Tgcom24, 8 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.
  51. ^ Granchio blu, cos'è (e perché è pericoloso), su ilgazzettino.it, 4 agosto 2023. URL consultato il 10 agosto 2023.

Bibliografia

  • (FR) Dimitri Veyssiere, Marie Garrido, Cécile Massé o, Pierre Noëlo e Pascal Romans, État des connaissances sur le Crabe bleu, Callinectes sapidus (Rathbun,1896). Focus sur la Méditerranée française et la Corse (PDF), Office de l’Environnement de la Corse, marzo 2022.

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